L’esperienza che ho vissuto in Giappone è stata molto profonda ed incisiva: si tratta di un Paese così diverso dal nostro, considerando estetica, cultura e spiritualità, da rivelarsi (in particolare per un creativo) una fonte inesauribile di ispirazione. In sei settimane davvero raramente ho provato la sensazione di essere a casa: è stata una continua esplorazione, un ininterrotto confronto con un pensiero totalmente differente dal mio; se a tratti questo piccolo sradicamento poteva essere pesante, la maggior parte del tempo a prevalere era la meraviglia. Ero incantato da qualsiasi cosa: dal gesto quotidiano di purificarsi prima di entrare in un tempio, dalla cottura (lunga ben 45 minuti) di un okonomiyaki, così come dalle rare processioni festive che incontravo casualmente nelle vie di Kyoto.
Nulla, però, mi ha colpito come Tokyo.
Da un lato, essendo il luogo in cui ho vissuto per più tempo, ho avuto modo di esplorare la città con calma, tra le lezioni di disegno manga e varie escursioni; dall’altro, non ho mai trovato così tante personalità, sfaccettature e panorami differenti in un’unica città. A Tokyo c’è qualsiasi cosa. Tokyo è qualsiasi cosa. Forse proprio da questo suo essere intrinsecamente al di fuori di ogni definizione deriva una certa capacità camaleontica: qualsiasi consegna mi fosse stata presentata questo semestre, non ho alcun dubbio che l’avrei svolta traendo ispirazione da questa incredibile metropoli – per questo quando sono venuto a sapere che il tema del progetto sarebbe stato quello del viaggio la mia mente è andata subito al Giappone (per coniugare viaggio fisico e di crescita personale) e quindi direttamente a Tokyo.
Una prima parte del progetto, incredibilmente stimolante, mirava a sviluppare una certa capacità di astrazione a partire da un’immagine, a cui sarebbe seguita la creazione di una fantasia per tessuto. Già per questa consegna ho cominciato ad immaginare quello che avrei voluto creare: una sorta di campionario, un ventaglio di tutte le possibili suggestioni offerte dal Giappone (in questo caso non mi sono limitato alla città di Tokyo, come avviene per il progetto finale).
Prima di descrivere le diverse realizzazioni è però necessaria un’altra piccola introduzione. Il Giappone è intriso di spiritualità; la religione shintoista, in particolare, vede il divino praticamente in qualsiasi cosa. E la sensazione che trasmettono i templi, quella è davvero indimenticabile. Sembra di entrare in un altro mondo. Ho allora immaginato di idealizzare ciò che avevo visto sotto forma di idea, di spirito: questo è più chiaro ed è chiave di lettura delle tavole d’esame, ma questo studio è presente come abbozzo già nella consegna dell’astrazione di immagini. Inoltre, tutte le foto che ho utilizzato come fonte d’ispirazione sono state scattate da me durante il viaggio.
Il primo studio di cui voglio approfondire la realizzazione è quello che riguarda l’astrazione della foresta di bambù di Arashiyama, nei pressi di Kyoto: osservando l’immagine ho preso ispirazione dai giochi di luci che si creavano tra le varie canne, creando un effetto davvero suggestivo. Le foreste di bambù sono luoghi incredibili, perfino il suono del vento tra le fronde è patrimonio dell’umanità. Ho astratto l’immagine tagliando un pezzo di stoffa che ricordi una foglia affilata, quindi giocando con i colori dello scatto. Ho poi notato che la figura, ruotata cinque volte tenendone ferma un’estremità come perno, creava un ventaglio: ecco una rielaborazione moderna di una classica fantasia giapponese. L’abito che ho poi creato manipolando la carta presenta delle maniche composte da filamenti, i quali illuminati da diverse inclinazioni vanno a creare dei giochi di luce simili a quelli che si creano tra le canne (inoltre, spostando le luci questi riflessi mutano come quelli nella foresta con il passaggio del sole). La silhouette ricorda la forma di un calabrone gigante asiatico, letale abitante delle foreste.
Un secondo studio prende ispirazione dal retro di un ristorante: ho giocato con forme e colori, inzuppando la stoffa e lasciando che le tinte si equilibrassero e l’effetto finale risultasse trasandato, ricamando poi trame verticali che si stagliassero sulle forme curve – ho deciso anche di riportare alcuni ideogrammi leggibili nello scatto. La manipolazione della carta per questo progetto ha portato ad una sorta di “kimono destrutturato”: ho ritagliato delle tipiche forme dell’abbigliamento tradizionale giapponese e ho poi dato fuoco ai bordi della carta, richiamando l’usura dei vari condotti uscenti dalle cucine, abbigliando una sorta di spirito sopravvissuto ad un incendio (al capo, come negli altri progetti, è stata poi applicata la fantasia creata in precedenza).
Odaiba è un’isola artificiale ricca di sorprese, tra cui un’enorme scultura di Gundam che a determinati orari prende vita e si illumina di laser variopinti: ho pensato fosse stimolante giocare anche con il lato più pop del Giappone, idealizzandolo in una sorta di “eroina manga” che ho vestito con spesso cartone (un materiale che richiama l’armatura del celebre robot) e carta velina, giocando per contrasto. L’astrazione di Gundam è particolarmente dinamica e colorata: volevo rifarmi alle scene di battaglia che vedono protagonista l’automa e alla diffusa cultura videoludica; ho così pensato che sarebbe stato interessante creare una fantasia ripetendo l’immagine astratta a modello della pop art americana.
Un quarto progetto è poi legato all’interno di un tempio, ai colori del soffitto e all’intreccio ligneo che lo costituisce: in questo caso il pattern più originale è la ripetizione verticale e asimmetrica dell’elaborato materico attraverso cui ho astratto l’immagine (un intreccio di pezzi di stoffa a cui ho cucito un piccolo voto). Il figurino, in cui si riconosce l’influenza dello stile manga, presenta una diversa destrutturazione dell’abbigliamento tradizionale giapponese.
Elia Crippa