Capace di affascinare con colori abbaglianti e con la modernità materica, Pierre Cardin con la sua iconica Space-Age evocava un’epoca futura oppure – forse – una misteriosa ed avveniristica realtà parallela: forse erano abiti lontanissimi perché erano gli anni ’60 e venivano realizzati anche in plastica, un materiale che era stato appena conosciuto e quindi futuristico.
Tuttavia, neppure il tempo può usurare le indistruttibili creazioni di Cardin che divengono in questa collezione le vesti, sia pure lise e di seconda mano, di spazzacamini appartenenti ad un futuro così lontano che neppure riusciamo a figurarcelo davvero.
Non più abiti provocatori bensì il riciclo di una classe sociale fragile, il cui corpo nudo viene svelato da trasparenze plastiche e geometriche. Gli abiti però, questa volta sono reali proprio perché vissuti e consumati. Eppure raccontano una storia, forse di sofferenza, che non è ancora accaduta e che quindi – forse – non possiamo conoscere.
“Il ‘forse’ è la parola più bella del vocabolario italiano, perché apre delle possibilità, non certezze… Perché non cerca la fine, ma va verso l’infinito” (G. Leopardi dallo Zibaldone di pensieri).
Claudia Canella